La spalla sinistra pulsava di dolore e faceva caldo. Era sdraiato su qualcosa di morbido. Le palpebre erano pesanti, troppo pesanti per aprirle. Attorno a lui delle voci si alternavano. Forse qualcuno stava urlando. Qualcuno o qualcosa ringhiò. Qualcosa di pesante lo copriva, forse una coperta. Faceva caldo, troppo caldo, voleva togliersi quella roba di dosso, ma le braccia non si muovevano. Il posto su cui l’avevano messo prese a muoversi, ricevette scosse da tutte le direzioni. Mise tutte le sue energie per socchiudere un occhio, una luce lo accecò. Richiuse l’occhio. Una voce familiare stava pronunciando parole indistinte. Forse sua madre. La voce si avvicinò al suo orecchio.
«Andrà tutto bene Travis.» Sì, era sua madre. «Andrà tutto bene piccolo mio.»
Stava piangendo?
Travis aprì gli occhi. Sul soffitto bianco delle luci al neon incavate lo abbagliarono. Dei condotti metallici di ventilazione tagliavano a metà tutto quel bianco.
La spalla faceva ancora male, ma faceva freddo. Mosse il braccio destro, una piccola fitta lo colpì all’incavo del gomito. Sollevò il braccio senza piegarlo: aveva un ago conficcato nel braccio. Il tubo risaliva fino alla sacca di sangue attaccata a un palo metallico accanto al letto.
Bip
Alla sua sinistra c’era un monitor.
Bip
Un’onda verde saliva e scendeva.
Bip
Dalla macchina partivano dei fili neri che scendevano giù fino al suo petto.
Bip
«Cazzo.»
Una porta sbatté alla sua destra, un uomo in camice dalla folta barba scura entrò al trotto nella stanza, i suoi passi riecheggiavano in un eco infinito. Si girò verso la porta ancora spalancata.
«È sveglio!» La sua voce risuonò come un boato.
«La prego dottore.» Travis socchiuse gli occhi e scosse la testa. «Parli più piano.»
Il dottore mise una mano sul parapetto del lettino.
«Non si preoccupi.» La sua voce era calata di un tono, non abbastanza ma già meglio. «È perfettamente normale un po’ di stordimento. Ha perso molto sangue.»
Altri passi veloci rimbombarono nella stanza. Sua madre arrivò accanto al dottore e lo scostò con una spallata.
«Travis! Grazie al cielo! Mi hai fatta spaventare a morte!»
Si buttò in avanti per abbracciarlo, ma il medico la placcò con un braccio.
«Lo lasci riposare, è ancora debole.»
Lei si ricompose e con una mano si aggiustò una ciocca di capelli scomposti dietro l’orecchio.
«Certo, mi scusi.» I suoi occhi si spostarono su Travis e tornarono sul dottore. «Ci può… ci può lasciare soli un momento? Ho bisogno di parlare con mio figlio.»
Il dottore fece un cenno di assenso. «Certamente, se ha bisogno sono qui fuori.»
La madre si sedette sul lettino girata a tre quarti verso Travis, il suo sguardo era apatico, ma le iridi verdi vennero attraversate da un lampo giallo. La porta della stanza si richiuse alle spalle del dottore.
«Dimmi esattamente cos’è successo.»
Travis prese un lungo respiro. I polmoni facevano fatica a riempirsi ed erano fin troppo rapidi a svuotarsi. Inspirò e cercò di trattenere l’aria abbastanza a lungo da poterla usare per parlare.
«Io e… Jean…» il pensiero dell’amico lo travolse. «Jean! Come sta? Gli è successo qualcosa?»
Gli angoli della bocca della madre si inarcarono in un lieve sorriso.
«Sta meglio di te, è qui fuori che aspetta tue notizie.»
Dietro la porta, appena visibile dalla piccola finestra quadrata al centro, c’era qualcuno che cercava di guardare all’interno. Conoscendolo se non entrava era perché aveva troppa paura di sua madre. E aveva ragione ad averne.
Sua madre poggiò il dorso della mano sulla sua fronte.
«Adesso, raccontami cos’è successo, nel dettaglio.»
«Sì. Noi stavamo cacciando i mangiaombre, come ti avevo detto. Eravamo di ronda, noi… eravamo alla fattoria di—»
«Sì, tesoro, lo so. Dimmi cos’è successo dopo.»
«Sì.» La spalla pulsava, il dolore si faceva più vivido. «C’era un mangiaombre grosso, sembrava un toro. Non era stupido come gli altri, sapeva come difendersi dai nostri attacchi. Siamo riusciti a ucciderlo, ma poi… poi…»
Chiuse gli occhi e si sforzò di ricordare cos’era successo dopo. Il vento, gli odori, la luce.
«Ferro, carburante… armi. Ho sentito odore di polvere da sparo, poi ho visto una luce sulla collina accanto a noi e…» girò la testa a sinistra, la spalla era fasciata con delle grosse garze bianche. «Mi hanno sparato. Cazzo, mi sono fatto fregare.»
Sua madre gli passò la mano tra i capelli e gli carezzò la testa. I suoi occhi si erano tinti d’oro.
«Cosa hai detto ai cacciatori?»
Travis sollevò le sopracciglia. «Cosa?»
«Jean me lo ha detto, del nuovo arrivato e del fatto che avete parlato. Cosa gli hai detto?»
Travis girò la testa verso la porta. Jean stava ancora cercando di guardare all’interno.
«Non… non gli ho detto niente.»
Gli afferrò i capelli e gli tirò la testa per costringerlo a fissarla.
«Dimmi cosa gli hai detto.»
«Io—»
«Travis.» La presa sui suoi capelli si fece più forte, il dolore alla testa soverchiò quello della spalla.
«Mi fai male.»
«Se i cacciatori sono sulle tue tracce devo saperlo, Travis.»
«Il ragazzo nuovo puzzava di polvere da sparo.»
La presa sui suoi capelli si allentò.
«Cosa vi siete detti?»
«Lui era spaventato. Stava venendo bullizzato da Adrien, gli ho dato una mano. Dopo… io…»
«Dopo? Cosa gli hai detto?»
«Gli ho detto che ho sentito il suo odore.»
La madre si alzò dal lettino. Teneva la testa bassa e una mano sul volto.
«Dio, Travis, cosa hai fatto?»
«Io credevo…»
«Non importa cosa credevi.» Si tolse la mano dal volto, i suoi occhi erano tornati verdi. «Sei compromesso. Lo siamo tutti. Gli hai detto dove saresti andato a caccia?»
Travis scosse la testa.
«No, non gli ho detto niente.»
«Non mentirmi Travis, non è il momento.»
«Te lo giuro. Non so come abbiano fatto a trovarci.»
Nella stanza cadde nel silenzio. Sua madre prese a camminare avanti e indietro ai piedi del lettino
«Questo è un altro problema. Dobbiamo scoprire cosa sanno e come lo sanno. Non è possibile che sia un caso, nessun cacciatore può essere così bravo da trovarci in un solo giorno.»
Si portò una mano alla bocca e mordicchiò la punta del pollice.
«Ad ogni modo non possiamo permetterci che tu rimanga qui. Devi partire il prima possibile.»
Travis sgranò gli occhi. La madre si diresse verso la porta.
«Aspetta! Partire per dove?»
La madre poggiò una mano sulla porta e girò la testa verso di lui.
«Andrai dallo zio Mario. Lì dovresti essere al sicuro. Devo telefonargli, non sarà felice della situazione.»
Spalancò la porta e uscì. Jean dietro la porta saltò all’indietro finendo contro il muro. La porta ondeggiò, lui la riprese al volo e si infilò nella stanza.
«Ehi Travis! Tutto bene?»
Travis scosse la testa.
«No, Jean. Non va bene per niente.»
Jean si girò verso la madre di Travis che si stava allontanando lungo il corridoio.
«Cosa succede?»
«Me ne vado, Jean. Vado in Italia.»
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